Sono nata qui, dove mi trovo adesso. Legata a questa terra scura e verde con un filo di lana.

La madre di mia madre era una sarta. Riunioni di comari intorno a un tavolo, odore di stoffa e sigarette. Una foto di mio padre bambino con il violino in mano e una di mio nonno giovane con tavolozza e pennelli. L’officina di un prozio fabbro, le scale ripidissime e i mutandoni di pizzo di sua moglie. Mia nonna che intreccia fili colorati all’uncinetto.

La passata di pomodoro sul pavimento del garage. La vaschetta di quando ero neonata per lavare il cane. L’odore di vernici e la vecchia bascula su cui mia madre mi pesava per farmi divertire. I tubetti di colori a olio nella scatola azzurra. La cioccolata nera di mio zio militare.

Le poiane mulinano nel cielo sopra al torrione diroccato, come quando ero bambina. Solo che adesso la torre non si vede più, so soltanto che è lì.

Io e mia cugina che leggiamo la bibbia per allontanare il diavolo. Lo studio di papà pieno di quadri. La colazione divisa a metà col cane. Il pulmino che mi lascia sotto casa. L’odore di benzina mentre mia madre mi spidocchia. I passeri sepolti nei barattoli di vetro.

Sono il silenzio dei boschi e il grido del barbagianni. Sono il letto asciutto del torrente e gli occhi azzurri e misteriosi di mio nonno.

Sono il partigiano, l’operaio, l’armaiolo, la maestra. Sono l’antifascista, il figlio di nessuno, la scomunicata, il soldato, l’orfana.

Sono la breccia che mi ha sbucciato le ginocchia e la corteccia su cui ho inciso il mio nome. L’aculeo dell’istrice, il solco lasciato dal grufolare del cinghiale.

Il vento agita le colline. Non passano auto giù in strada. Proprio come un tempo, quando correvamo in bici fino alla casa cantoniera o camminavamo a piedi nudi sull’asfalto su fino in paese, per rubare le noccioline dal sacco del bottegaio.

Le nuvole scorrono veloci sopra agli alberi e alle case. Indifferenti, sopra ad ogni cosa. Sopra a tutti noi che restiamo qui, sulla terra, impigliati alla vita con un filo di lana.

 
da Poesie finite male